CONDOMINIO: IL RIPARTO DELLE SPESE DI COPERTURA DEI BOX INTERRATI

CONDOMINIO: IL RIPARTO DELLE SPESE DI COPERTURA DEI BOX INTERRATI

CONDOMINIO: IL RIPARTO DELLE SPESE DI COPERTURA DEI BOX INTERRATI

Solaio di copertura dei singoli box interrati costituito dal cortile condominiale

Nel frequente caso in cui il solaio di copertura delle singole autorimesse interrate sia costituito dal cortile condominiale, da camminamenti o da aiuole comuni, trova applicazione l’art. 1125 c.c., in base al quale “le spese per la manutenzione e ricostruzione dei soffitti, delle volte e dei solai sono sostenute in parti eguali dai proprietari dei due piani l’uno all’altro sovrastanti, restando a carico del proprietario del piano superiore la copertura del pavimento e a carico del proprietario del piano inferiore l’intonaco, la tinta e la decorazione del soffitto”.

La giurisprudenza più recente, infatti, è ferma nel ritenere che nel caso in cui il solaio di copertura di autorimesse (o di altri locali interrati) in proprietà singola svolga anche la funzione di consentire l’accesso all’edificio condominiale, non ci si trova davanti ad una utilizzazione particolare da parte di un condomino rispetto agli altri, ma ad una utilizzazione conforme alla destinazione tipica (anche se non esclusiva) di tale manufatto da parte di tutti i condomini (Cass. 19 luglio 2011, n. 15841).

Per fare un esempio, la spesa di impermeabilizzazione del cortile condominiale, che funga da copertura dei box interrati andrà sostenuta per metà dai proprietari delle autorimesse e per l’altra metà da tutti i condomini che utilizzano l’area comune, con la precisazione che restano a carico del proprietario superiore (Condominio) le spese per la pavimentazione del cortile/aiuola/parcheggio e a carico di quello sottostante (i singoli proprietari delle autorimesse) l’intonaco, la tinteggiatura e la decorazione dei muri interni.

La ragione di ciò è rappresentata dal fatto che, se il solaio funge da cortile e su di esso vengono consentiti il passaggio di persone, il transito o la sosta degli autoveicoli, è evidente che a ciò è imputabile in maniera preponderante il degrado della pavimentazione, per cui sarebbe illogico accollare per due terzi le spese relative ai condomini dei locali sottostanti, così come prevedrebbe l’art. 1126 c.c. in tema di lastrico solare in proprietà esclusiva di alcuni condomini: “Quando l’uso dei lastrici solari o di una parte di essi non è comune a tutti i condomini, quelli che ne hanno l’uso esclusivo sono tenuti a contribuire per un terzo nella spesa delle riparazioni o ricostruzioni del lastrico: gli altri due terzi sono a carico di tutti i condomini dell’edificio o della parte di questo a cui il lastrico solare serve in proporzione del valore del piano o della porzione di piano di ciascuno“.

Parafrasando quanto sopra esposto, le spese per gli interventi relativi al cortile/pavimentazione che funge altresì da copertura ai box interrati andranno così ripartite:

– pavimentazione (copertura del pavimento ex art. 1125 c.c.), se prevista, a carico di tutti i condomini e suddivisa per i millesimi di proprietà;

– intonaco, tinta e decorazioni, se previsti, a carico dei condomini proprietari delle autorimesse sottostanti;

– le spese riguardanti la manutenzione straordinaria del solaio (o comunque della struttura sottostante il cortile, a copertura dei box) e la relativa impermeabilizzazione: 50% a carico di tutti i condomini e 50% a carico dei proprietari esclusivi dei locali sottostanti (delle autorimesse). Naturalmente la suddivisione tra i condomini va effettuata in base ai millesimi di proprietà ex art. 1123 I comma c.c.

LA RESPONSABILITÀ DEL GESTORE DELL’IMPIANTO SKILIFT

LA RESPONSABILITÀ DEL GESTORE DELL’IMPIANTO SKILIFT

LA RESPONSABILITÀ DEL GESTORE DELL’IMPIANTO SKILIFT

Quando il gestore è tenuto a pagare i danni?

Parte della dottrina e della giurisprudenza sostengono che ai casi di risalita effettuati con skilift non siano applicabili il contratto di trasporto e la relativa presunzione di responsabilità in capo al vettore, di cui all’art. 1681 c.c., in quanto il gestore dell’impianto di risalita si limiterebbe a fornire la pista di risalita, l’energia di trazione e l’ausilio per l’aggancio, mentre a tutto il resto dovrebbe provvedere il passeggero, con un comportamento diligente, idoneo a permettergli il raggiungimento della destinazione prescelta (una sorta di “autotrasporto”).

Secondo un diverso orientamento, invece, tale distinzione non è condivisibile in quanto, a ben vedere, nelle ipotesi di skilift, così come in quelle di funivia, seggiovia, cabinovia, il vettore assume il medesimo obbligo di trasferire l’utente sano e salvo da valle a monte, in base alle modalità concrete proprie del mezzo prescelto, dovendo in ogni caso rispondere di eventuali incidenti verificatisi nel corso del trasporto.

Di conseguenza anche al trasporto a monte a mezzo di skilift si applicherebbe l’art. 1681 c.c., che prevede una presunzione relativa di responsabilità a carico del gestore dell’impianto di risalita. Il gestore, quindi, deve rispondere dei danni occorsi all’utente durante la salita se risulti provata una violazione del dovere di diligenza, richiesto dalla natura dell’attività svolta e dalle specifiche circostanze del caso concreto.

Ad ogni modo, qualora si ritenesse che il trasporto a mezzo di skilift rappresenti un contratto atipico, la responsabilità del gestore dell’impianto di risalita per gli infortuni verificatisi durante il viaggio sarebbe regolata dalle comuni regole in materia di responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c..

Il risultato non cambia: l’art. 1218 c.c. pone comunque l’onere della prova dell’esatto adempimento della prestazione a carico del gestore dell’impianto, il quale dovrà dimostrare, così come nell’ambito dell’art. 1681 c.c. di aver predisposto le misure di cautela e di sicurezza idonee ad evitare il danno (in via esemplificativa: aver adeguatamente battuto la pista, aver posto segnali visibili relativi alla pendenza e alla difficoltà della pista stessa, non aver impresso velocità eccessiva o irregolare al mezzo, di aver munito l’impianto di personale ausiliario diligente).

E, in ogni caso, andrà senza dubbio verificato il comportamento tenuto dallo sciatore, in quanto è impensabile richiedere al gestore dell’impianto l’onere di accertarsi della piena osservanza da parte dei trasportati delle norme cautelari vigenti o delle abilità degli stessi, dovendo limitarsi a prevenire situazioni di effettivo pericolo per gli utenti.
Ad esempio la responsabilità del gestore è stata esclusa in caso di sciatore che si era infortunato su uno skilift ad ancora, perché lo aveva impropriamente utilizzato, ovvero nel caso in cui lo sciatore era stato investito dal conducente di uno slittino che aveva attraversato la pista di risalita dello skilift, ovvero nel caso in cui lo sciatore era stato colpito al viso dal piattello dello skilift abbandonato con eccessivo slancio dallo sciatore che lo precedeva.

DELIBERE CONDOMINIALI SU ARGOMENTI NON INSERITI NELL’ORDINE DEL GIORNO

DELIBERE CONDOMINIALI SU ARGOMENTI NON INSERITI NELL’ORDINE DEL GIORNO

DELIBERE CONDOMINIALI SU ARGOMENTI NON INSERITI NELL’ORDINE DEL GIORNO

Quando un'assemblea condominiale è annullabile?

Con l’introduzione della riforma del condominio (legge 220/2012, entrata in vigore il 18 giugno 2013) è oggi espressamente previsto, all’art. 66 comma 3 delle disposizioni di attuazione del codice civile, che l’avviso di convocazione di un’assemblea condominiale deve contenere la specifica indicazione dell’ordine del giorno, pena l’annullabilità ai sensi dell’art. 1137 c.c.

Prima della legge del 2012, si applicava, in via analogica, l’art. 1105, comma terzo c.c., dettato in materia di comunione, il quale prevede per la validità delle deliberazioni della maggioranza, che tutti i partecipanti siano stati preventivamente informati dell’oggetto della deliberazione.

In ogni caso, il ragionamento alla base è il medesimo: l’ordine del giorno riveste la fondamentale funzione di informare i condomini degli argomenti che verranno trattati in assemblea, affinché questi ultimi siano in grado di partecipare e votare consapevolmente.
L’ordine del giorno non deve specificare in maniera analitica e dettagliata tutti gli argomenti da trattare in assemblea, bensì è sufficiente che questi ultimi siano comprensibili nei loro termini “essenziali”, in modo tale da consentire ad ogni condomino di poter valutare l’atteggiamento da tenere, in relazione sia all’opportunità di partecipare, sia alle eventuali obiezioni o suggerimenti da sottoporre ai partecipanti (ex multis Cass. 30 luglio 2004 n. 14560).

Si segnala che, di recente, sull’argomento, è intervenuta una sentenza della Cassazione (Cass. 23 gennaio 2014 n. 1445), relativa ad un caso in cui un condomino, assente alla riunione, contestava una delibera assembleare impugnandola davanti all’Autorità Giudiziaria, in quanto avente ad oggetto un argomento non inserito nell’ordine del giorno. D’altra parte il Condominio, convenuto in giudizio, asseriva che tale argomento, seppure non inserito all’ordine del giorno, era comunque conosciuto dal condomino.

Ebbene, la Cassazione ha dato ragione al condomino, affermando lapidariamente che “la conoscenza degli argomenti da trattare in assemblea va desunta esclusivamente dall’ordine del giorno e non aliunde”.
La totale mancanza o l’incompletezza dell’ordine del giorno, come sopra accennato, comportano l’annullabilità della decisione assembleare che può essere fatta valere senza dubbio dal condomino assente, ma anche da quello dissenziente (o astenuto), il quale, però, abbia eccepito l’irregolarità della convocazione.
Perfettamente valida, invece, la delibera su un argomento non indicato nell’ordine del giorno, qualora la decisione sia stata approvata all’unanimità da tutti i partecipanti al condominio.

INCIDENTI STRADALI CON LA FAUNA SELVATICA

INCIDENTI STRADALI CON LA FAUNA SELVATICA

INCIDENTI STRADALI CON LA FAUNA SELVATICA

Chi è tenuto a rispondere di tali danni?

Pensiamo al caso di un automobilista che subisce danni alla propria autovettura o, peggio, alla propria persona, a causa dell’impatto con un cervo o con un altro animale selvatico, che, improvvisamente, attraversa la sede stradale.
Chi è tenuto a rispondere di tali danni?

Ebbene, la fauna selvatica, ai sensi dell’art. 826 comma II c.c. fa parte del patrimonio indisponibile dello Stato e la sua gestione, secondo la legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) è affidata alle Regioni, le quali devono adottare tutte le misure idonee affinché tale fauna non arrechi danni a terzi.
La Regione, di conseguenza – ove ne sussistano i presupposti – risponderà ai sensi dell’art. 2043 c.c. di eventuali danni cagionati a cose o persone da parte di un animale selvatico.
Non sarebbe, invece, responsabile la Provincia, poiché, anche qualora la Regione le avesse delegato tali poteri e funzioni quest’ultima rimarrebbe responsabile in quanto “la delega non fa venir meno la titolarità dei poteri di gestione e deve essere esercitata nell’ambito delle direttive dell’ente delegante” (cfr. Cass., 01.08.1991, n. 8470).

Vi è, in realtà, un orientamento che ritiene necessario individuare il responsabile dei danni nell’ente a cui siano concretamente affidati, con margini di autonomia, i poteri di gestione e di controllo del territorio  e della fauna selvatica, e che quindi sia meglio in grado di prevedere, prevenire ed evitare gli eventi dannosi del genere di quello del cui risarcimento si tratta (cfr. Cass., 08.01.2010, n. 80).
Altri, ancora, ritengono invece che Regione e Provincia siano chiamate a rispondere solidalmente dei danni subiti dagli utenti della strada.

Per quanto concerne la realtà veneta, si segnala che la Regione Veneto esercita le funzioni amministrative di programmazione e di coordinamento ai fini della pianificazione faunistico-venatoria e svolge i compiti di orientamento e di controllo ex art. 2 legge Regionale 50/1993.
Sul punto si segnala, altresì, che la Legge Regionale Veneto n. 6 del 23 aprile 2013 “Iniziative per la gestione della fauna selvatica nel territorio regionale precluso all’esercizio della attività venatoria”, prevede, all’art. 1 che: “La Regione del Veneto interviene con la presente legge per promuovere l’utilizzo di metodi di controllo ai sensi dell’articolo 17 della legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50 “Norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio” e successive modificazioni, finalizzati alla gestione sostenibile della fauna selvatica nei territori preclusi all’esercizio della attività venatoria e per concorrere a sostenere, mediante la costituzione di appositi fondi, gli interventi di apprestamento opere e indennizzo dei danni prodotti alle produzioni agricole e zootecniche o causati da incidenti in sedi stradali dalla fauna selvatica”.
In particolare, all’art. 4 dispone che: “La Giunta regionale è autorizzata a stipulare polizza assicurativa per concorrere al risarcimento dei danni causati a persone e veicoli per l’impatto con fauna selvatica in attraversamento di sedi stradali”.
Ciò premesso, in linea generale, al fine di ottenere un risarcimento nei confronti della Regione (o della Provincia o di entrambi gli enti) è necessario tenere ben presente l’onere della prova imposto dall’art. 2043 c.c., il quale richiede l’individuazione di un comportamento colposo ascrivibile all’Ente pubblico, oltre che la dimostrazione di un danno e del nesso causale tra quest’ultimo e la condotta della pubblica amministrazione.

In altri termini, è necessario dimostrare che l’Ente pubblico ha omesso di porre in essere quegli accorgimenti tecnici atti ad eliminare il concreto pericolo di attraversamento di animali selvatici, installando, in via esemplificativa, appositi dissuasori o reti di protezione oppure, quantomeno, provvedendo a collocare idonea segnaletica di pericolo, così come prescritto dal vigente codice della strada.