CORONAVIRUS: L’IMPATTO SUI CONTRATTI IN ESSERE

CORONAVIRUS: L’IMPATTO SUI CONTRATTI IN ESSERE

L’attuale situazione di emergenza epidemiologica causata dal Covid-19 e le conseguenti misure restrittive imposte dal Governo stanno senz’altro avendo una notevole incidenza, tra le altre cose, anche sui rapporti contrattuali.

Vediamo, dunque, quali sono le principali situazioni giuridiche che si possono prospettare.

Impossibilità sopravvenuta della prestazione – totale, parziale e temporanea

L’art. 1218 c.c., prevede che, nel caso in cui il debitore non adempia regolarmente alle proprie
obbligazioni dovrà rispondere del danno cagionato, fatta salva l’ipotesi in cui la prestazione sia
divenuta impossibile per una causa a lui non imputabile.

Inoltre, l’art. 1256 c.c., dispone che l’obbligazione si estingue nel caso in cui, per una causa non
imputabile al debitore, la prestazione diventi impossibile.

In base a tali disposizioni normative, il debitore può andare esente da responsabilità per
l’inadempimento qualora dimostri l’impossibilità della prestazione. Impossibilità che non deve
essergli imputabile e che deve rivestire i caratteri dell’imprevedibilità, assoluta e insuperabile.
Tra le ipotesi di impossibilità rileva senz’altro il c.d. factum principis, identificabile con quei
provvedimenti emessi dalle competenti autorità governative che, per tutelare l’interesse pubblico, impongono prescrizioni comportamentali e divieti che rendono impossibile determinate prestazioni contrattuali.

Ebbene, laddove vi sia impossibilità definitiva della prestazione, la relativa obbligazione si
estingue, senza che il debitore possa essere chiamato a rispondere per un inadempimento.
In tale contesto rileva, inoltre, quanto disposto dell’art. 1463 c.c. secondo il quale “la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta non può chiedere la controprestazione e deve restituire quella che abbia già ricevuta”.

Quindi, se, ad esempio, mi sono iscritto ad un corso in palestra che non ha potuto svolgersi a causa dei provvedimenti governativi di chiusura di tali strutture, avrò diritto alla restituzione di quanto già eventualmente pagato, secondo le norme sulla ripetizione dell’indebito (art. 2033 c.c.). A ben vedere, infatti, se si dovesse pagare per un servizio che non si è ricevuto, si verificherebbe un arricchimento ingiustificato e indebito in favore della controparte contrattuale.
Se invece l’impossibilità della prestazione è solo parziale (ex art. 1464 c.c.), ad esempio in caso di riduzione materiale della prestazione, la controparte contrattuale può agire per ottenere,
alternativamente, la riduzione della propria controprestazione, ove possibile, oppure il recesso dal contratto, qualora non abbia interesse ad ottenere comunque una prestazione parziale. Il contraente la cui prestazione è divenuta parzialmente impossibile, invece, rimarrà obbligato, nei limiti in cui la prestazione sia parzialmente possibile, ad effettuare l’adempimento parziale.
L’impossibilità può essere, inoltre, soltanto “temporanea”, per tale intendendosi quella che deriva da un impedimento prevedibilmente transitorio.
Nella situazione attuale, in particolare, è ragionevole ed auspicabile ritenere, che l’emergenza sia destinata a cessare, con la conseguente ripresa di alcune delle attività ora precluse.

Il rapporto contrattuale dovrebbe quindi ritenersi non definitivamente risolto, ma solo
momentaneamente sospeso, chiaramente con esonero di entrambe le parti dall’adempimento delle rispettive prestazioni, fintanto che resterà in vigore il provvedimento inibitorio.
A tale riguardo va inoltre chiarito che se il contraente non ha più interesse a conseguire la
prestazione, l’obbligazione si estingue comunque, come se l’impossibilità fosse definitiva.

Eccessiva onerosità sopravvenuta

L’eccessiva onerosità sopravvenuta, nell’ambito di un contratto a esecuzione continuata, periodica o differita, costituisce una circostanza che non impedisce la prestazione, ma la rende più “onerosa”, consentendo al debitore di ottenere la risoluzione del contratto o, in alternativa, la riduzione della prestazione.
Va precisato che il contraente, la cui prestazione sia divenuta eccessivamente onerosa non è
automaticamente liberato dalla sua obbligazione; l’eccessiva onerosità sopravvenuta della sua
prestazione gli attribuisce semplicemente — quando ne ricorrano i presupposti – il potere di
chiedere al giudice la risoluzione del contratto. Questo a differenza di quanto accade nelle ipotesi sopra richiamate di impossibilità sopravvenuta della prestazione.
Senz’altro una pandemia, come quella che stiamo vivendo in questo momento, costituisce un evento “straordinaria ed imprevedibile”. Allo stesso tempo, però, non è semplice stabilire se il Coronavirus – e le misure restrittive adottate dalle autorità – possa costituire valida causa di sopravvenuta onerosità delle prestazioni contrattuali assunte dalle imprese.
Gli effetti giuridici del COVID-19 sui negozi stipulati dalle imprese dovranno essere valutati ed
esaminati caso per caso, tenendo conto di una pluralità di fattori quali, ad esempio, i fatti portati a sostegno del ritardo e/o dell’inadempimento contrattuale, l’incidenza specifica degli stessi sulla prestazione, l’assenza di soluzioni alternative per l’adempimento.
Se la parte nei confronti della quale viene domandata la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta vuole evitare lo scioglimento del contratto, allora potrà offrire alla controparte di modificare “equamente” le condizioni dello stesso, secondo una valutazione di buona fede che riequilibri il rapporto contrattuale.

LEGGE DI BILANCIO 2020 – RISCOSSIONE VELOCIZZATA DEI TRIBUTI LOCALI

LEGGE DI BILANCIO 2020 – RISCOSSIONE VELOCIZZATA DEI TRIBUTI LOCALI

La Legge di Bilancio 2020 ha introdotto importanti cambiamenti in tema di recupero dei tributi locali da parte di Province, Città metropolitane, Comuni, Comunità montane, Unioni di Comuni e Consorzi tra gli enti locali.

Infatti, è stato introdotto, dal 1° gennaio 2020, l’accertamento esecutivo anche per tasse come IMU, TASI, TARI, con lo scopo principale di agevolare e velocizzare il recupero dei tributi locali omessi, disincentivando l’evasione.
In estrema sintesi, non sarà più necessario attendere i tempi di iscrizione a ruolo del debito con successiva emissione della cartella esattoriale per dare il via, ad esempio, al fermo amministrativo, all’ipoteca o al pignoramento.
E’ ora previsto, invece, un meccanismo molto più snello che consente all’ente locale, in caso di mancata risposta all’avviso di accertamento e all’intimazione di pagamento, di attivare immediatamente le procedure esecutive e cautelari previste dalla legge.
Pertanto, se, entro 60 giorni dalla ricezione dell’avviso di accertamento contenente l’intimazione, il contribuente non provvede al pagamento, oppure, se entro tale termine lo stesso non presenta ricorso, l’atto diventerà, dunque, immediatamente esecutivo.
L’ente locale potrà quindi provvedere direttamente con il pignoramento del conto corrente o procedere, in via cautelare, al fermo amministrativo o all’iscrizione di ipoteca, così come avviene per i debiti fiscali.
Si precisa che solo ed esclusivamente in caso di debito di importo non superiore ad € 10.000, l’ente, prima di attivare le procedure di recupero forzato, dovrà provvedere ad inviare al contribuente un sollecito di pagamento.
Per evitare il pignoramento o altre procedure di recupero forzato il contribuente potrà regolarizzare la propria posizione, pagando il debito in unica soluzione o a rate, da un minimo di 4 fino ad un massimo di 72 rate, in base all’importo del debito.
Dalla nuova disposizione restano comunque escluse le multe stradali.

La tutela della prima casa alla luce del nuovo fondo salva casa

La tutela della prima casa alla luce del nuovo fondo salva casa

L’articolo 41 bis del decreto fiscale D.L. 124/2019 prevede la possibilità, per i cittadini che siano qualificabili come consumatori, in evidente difficoltà con il pagamento delle rate di mutuo relativo all’acquisto della prima casa, di salvare il loro immobile dalla procedura esecutiva.
Precisamente, si potrà beneficiare di una rinegoziazione o di un rifinanziamento, il cui ricavato
dovrà essere utilizzato per estinguere il mutuo in essere, con assistenza della garanzia del Fondo di garanzia per la prima casa e con il beneficio dell’esdebitazione per il debito residuo.
Le condizioni per accedere sono le seguenti.

Con riferimento al DEBITORE:

  • il debitore deve essere un consumatore, ossia una persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta;
  • non dovrà essere pendente, per il debitore, una procedura di risoluzione della crisi da
    sovraindebitamento;
  • nei suoi confronti dovrà essere stata avviata una procedura esecutiva immobiliare, iniziata tra il 2010 ed il 30 giugno 2019.

Con riferimento al CREDITORE:

  • – il creditore deve essere un soggetto che esercita l’attività bancaria o una società veicolo;
  • non vi devono essere altri creditori intervenuti nell’esecuzione; in alternativa, dovrà essere depositato, prima della presentazione dell’istanza di rinegoziazione, atto di rinuncia da parte degli altri creditori intervenuti.

Con riferimento al CREDITO:

  • il credito deve derivare da un mutuo con garanzia ipotecaria di primo grado sostanziale,
    concesso per l’acquisto di un immobile che rispetti i requisiti previsti per gli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di case di abitazione;
  • alla data di presentazione dell’istanza di rinegoziazione, il debitore dovrà aver rimborsato almeno il 10% del capitale originariamente finanziato;
  • il credito complessivo della Banca non potrà essere superiore ad € 250.000.

L’istanza dovrà essere presentata nell’ambito del processo esecutivo entro e non oltre il 31 dicembre 2021.
Nel caso in cui la domanda di rinegoziazione venga accettata, il giudice sospende la procedura
esecutiva per un massimo di sei mesi.
Tuttavia, il creditore può rifiutare l’adesione all’istanza o non accettare la proposta di
rinegoziazione; inoltre, in ogni caso in cui sia richiesto un nuovo finanziamento a una banca diversa dal creditore ipotecario, a questa è comunque riservata totale discrezionalità nella concessione dello stesso.

L’importo di rifinanziamento non deve essere inferiore al 75% del prezzo stabilito come base d’asta per l’immobile, ricalcolando un mutuo con un piano di ammortamento massimo di 30 anni decorrenti dalla data di sottoscrizione dell’accordo di rinegoziazione o del finanziamento e comunque tassativamente non superiore ad una durata in anni che, sommata all’età del debitore, superi il numero di 80.
Se il debitore non riesce a ottenere personalmente la rinegoziazione o il rifinanziamento del mutuo, lo stesso potrà essere accordato a un suo parente o affine fino al terzo grado, ferme restando le predette condizioni.
Se il finanziamento è concesso al parente o affine, il giudice emette decreto di trasferimento in suo favore e per i successivi 5 anni dalla data di trasferimento dell’immobile, il debitore e la sua famiglia avranno il diritto legale di abitazione annotato a margine dell’ipoteca.
Entro lo stesso termine il debitore potrà, previo rimborso integrale degli importi già corrisposti al soggetto finanziatore dal parente o affine, chiedere la retrocessione della proprietà dell’immobile e, con il consenso del soggetto finanziatore, accollarsi il residuo mutuo con liberazione del parente o affine.
Le rinegoziazioni e i finanziamenti potranno, ma non dovranno necessariamente, essere assistite dalla garanzia rilasciata da una apposita sezione del fondo di Garanzia per la prima casa, con dotazione 5 milioni di euro per il 2019. La garanzia è concessa nella misura del 50% del valore di rinegoziazione, inteso come il valore della quota capitale del nuovo finanziamento.
Sarà un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della
giustizia e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentita la Banca d’Italia, di prossima emanazione, a definire una serie di aspetti essenziali, tra cui: il contenuto e le modalità di presentazione dell’istanza di rinegoziazione, le modalità con cui il giudice procederà all’esame dell’istanza, gli elementi ostativi alla concessione della richiesta di rinegoziazione e così via.

RIFORMA CRISI DI IMPRESA – COSA CAMBIA

RIFORMA CRISI DI IMPRESA – COSA CAMBIA

RIFORMA CRISI DI IMPRESA – COSA CAMBIA

Il nuovo codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, riforma la legge fallimentare e le procedure concorsuali, fornendo alle imprese nuovi strumenti per la diagnosi precoce dello stato di difficoltà, al fine di garantire e preservare la continuità aziendale.

La novità rilevante è costituita dall’introduzione di un sistema d’allerta, che prevede l’imposizione di obblighi di segnalazione finalizzati alla tempestiva rilevazione degli indizi di crisi dell’impresa ed alla sollecita adozione delle misure più idonee alla sua composizione.

Precisamente, sono previsti un meccanismo di segnalazione interna ed uno di segnalazione esterna.

Segnalazione interna.

L’art. 14 comma 1 del Codice prevede che gli organi di controllo interni verifichino che l’organo amministrativo valuti costantemente:

  • l’adeguatezza dell’assetto organizzativo dell’impresa;
  • la sussistenza dell’equilibrio economico-finanziario;
  • il prevedibile andamento della gestione.

Nel caso di fondati indizi della crisi di impresa, gli organi di controllo hanno l’obbligo di segnalare immediatamente tali indizi all’organo amministrativo. Entro il termine fissato nella segnalazione l’organo amministrativo deve riferire in ordine alle soluzioni individuate e alle iniziative intraprese.

In caso di omessa o inadeguata risposta da parte dell’organo amministrativo, ovvero di mancata adozione delle misure ritenute necessarie per superare lo stato di crisi scatta l’obbligo di segnalazione all’OCRI in cui si trova la sede legale dell’impresa (Organismo di Composizione della Crisi, che dovrà essere istituito presso le camere di commercio).

Segnalazione esterna.

L’articolo 15 prevede l’obbligo di segnalazione a carico dei creditori pubblici qualificati (Agenzia delle entrate, Istituto nazionale della previdenza sociale e agente della riscossione).

Tali soggetti devono avvisare il debitore, mediante PEC o raccomandata con avviso di ricevimento, che la sua esposizione debitoria ha superato un determinato importo soglia.

Essi devono procedere senza indugio ad inoltrare una segnalazione all’OCRI se nei 90 giorni successivi dalla ricezione dell’avviso il debitore:

  • non ha provveduto ad estinguere integralmente il proprio debito o a regolarizzarlo con una delle modalità previste dalla legge;
  • non è in regola con il pagamento delle rate delle somme dovute a titolo di imposta o ritenute secondo quanto previsto dall’art. 3 bis del D.lgs n. 462/1997;
  • non ha presentato istanza di composizione assistita della crisi;
  • non ha presentato domanda per l’accesso a una procedura di regolazione della crisi.

Una volta effettuata la segnalazione, il procedimento innanzi all’OCRI è composto da due fasi distinte:

  1. Fase di allerta che nasce dalle segnalazioni sopra indicate e conduce, mediante l’audizione, all’individuazione delle misure possibili per porre rimedio allo stato di crisi.
  2. Fase di composizione assistita della crisi, caratterizzata dai tentativi di trattative con i creditori. Tale fase è eventuale, in quanto vi si accede solo con la richiesta del debitore, pertanto quest’ultimo vi può accedere anche a prescindere dalla segnalazione oppure, dopo la segnalazione e prima dell’audizione.

Si precisa che, a causa dell’attuale situazione di emergenza epidemiologica da Covid-19, sono stati rinviati di ulteriori sei mesi (rispetto all’originario termine del 15 agosto 2020), per tutte le imprese, gli effetti dei nuovi sistemi di allerta, in quanto le segnalazioni agli Organismi di composizione della crisi d’impresa (OCRI), che dovevano anch’essi essere istituiti entro il 15 agosto 2020 presso ciascuna camera di commercio, si dovranno far decorrere dal 15 febbraio 2021.

Rimane tuttavia fissata al 15 agosto 2020 l’entrata in vigore dell’obbligo per gli organi di controllo societari, il revisore contabile e la società di revisione di “verificare che l’organo amministrativo valuti costantemente, assumendo le conseguenti idonee iniziative, se l’assetto organizzativo dell’impresa è adeguato, se sussiste l’equilibrio economico finanziario e quale è il prevedibile andamento della gestione”, nonché di segnalare al medesimo organo “l’esistenza di fondati indizi della crisi” (articolo 14, primo comma), mentre è da intendersi differita al 15 febbraio 2021 l’obbligatorietà della segnalazione all’OCRI nel caso di omessa o inadeguata risposta da parte dell’organo amministrativo, ovvero di mancata adozione delle misure ritenute necessarie per superare lo stato di crisi.

Il differimento al 15 febbraio 2021 è da intendersi riferito anche all’operatività dell’obbligo di segnalazione a carico dei creditori pubblici qualificati.