Furto con scasso nel bar: il titolare accusa il figlio

Furto con scasso nel bar: il titolare accusa il figlio

Gazzettino – Edizione di Sedico del 09.04.14

Accusato di aver derubato il bar del padre. Moreno Pellegrinelli, 35 anni di Sedico si trova a processo con l’imputazione di furto aggravato del 2009. Ieri il genitore, Fabio Pellegrinelli, chiamato a testimoniare in tribunale come parte offesa non si è presentato. La mancanza di giustificazione ha fatto sì che l’uomo venisse sanzionato per 150 euro, inoltre il giudice Elisabetta Scolozzi ne ha disposto l’accompagnamento coattivo per l’udienza fissata al 23 maggio.

Il pubblico ministero infatti non ha ritenuto di poter rinunciare alla deposizione dell’uomo la cui parole saranno di grande importanza per poter stabilire la verità nel delicato processo che vede due congiunti, l’uno contro l’altro.

Il colpo con scasso al bar Dei Fiori di Sedico avvenne nel 2009 quando ignoti si introdussero nel locale dopo aver rotto una finestra e scassinarono le slot machines e un cambiamonete per un bottino di 3 mila euro.

Le indagini della scientifica condussero all’attuale imputato, le cui impronte furono trovate in molte parti del bar compreso il vetro della finestra spaccata.

All’epoca il padre dell’imputato gestiva il locale insieme alla moglie e il figlio dava loro una mano.

La difesa, rappresentata dalla Dott.ssa Valentina Gatti dello studio dell’Avv. Stefano Bettiol, ha intenzione di giocare proprio questa carta. Se l’uomo aveva libero accesso al locale, dove addirittura lavorava, è normale che siano state trovate sue impronte un po’ ovunque.

Il problema è che quando sono state inserite le impronte digitali dell’odierno imputato nell’Afis, il Sistema Automatizzato di Identificazione delle Impronte, è venuta fuori una corrispondenza in quanto l’uomo era già schedato per dei guai precedenti.
Si torna in aula il prossimo 23 maggio quando il padre verrà ascoltato e chiarirà se il figlio era cogestore del bar o meno.

Una perizia sostiene che la firma è autentica.

Una perizia sostiene che la firma è autentica.

Il testamento De Toffol – Barozzi

Se da una parte Giuliana Di Cola, figlia della donante Nerina De Toffol, ha impugnato il testamento della madre sostenendo che si tratta di un falso. Ora la cognata della donante, Clelia Barozzi (assistita dall’ Avv. Stefano Bettiol) e beneficiaria, nel testamento della discordia, di un palazzo in Via San Pietro, si fa avanti per costituirsi nel processo civile sostenendo la validità del testamento. Si complica sempre più la vicenda del testamento della discordia che vede il Comune di Belluno come beneficiario dell’antica villa di Orzes composta da due fabbricati costruiti nel XVII secolo. Una villa del valore di un milione di euro, per la quale Palazzo Rosso era già pronto alla vendita per incassare liquidità stabilendo una base d’asta di 942 mila 400 euro.

L’impugnazione del testamento davanti al giudice civile, ha prodotto uno stallo nella vendita dell’immobile e l’impasse è destinata a durare almeno fino a quando non ci sarà un pronunciamento da parte della magistratura.

Anche il Comune, nel frattempo, si è costituito in giudizio, perché naturalmente non vuole perdere un immobile di questo valore, la cui vendita darebbe respiro alla casse municipali.

I fabbricati sono due: il primo è destinato ad abitazione padronale con due alloggi disposti su tre piani, di cui uno nel seminterrato e ha una superficie di 603 metri quadrati, il secondo ad accessorio pertinenziale per 335 metri quadrati, oltre ad un’ampia corte della superficie di 12.580.

Nel testamento della discordia, la donante aveva indicato il Comune come beneficiario dell’antica villa di Orzes mentre palazzo Barozzi di Via San Pietro era stato lasciato alla cognata. Ora quest’ultima, assistita dall’ Avv. Stefano Bettiol è pronta a dare battaglia costituendosi nel processo contro la figlia della donante e producendo anche una perizia di parte nella quale si certifica la veridicità della firma della De Toffol su quel testamento.

IL CASO: Guerra di perizie sull’autenticità del testamento impugnato dai nipoti della defunta vedova

IL CASO: Guerra di perizie sull’autenticità del testamento impugnato dai nipoti della defunta vedova

Eredità Barozzi, spunta un altro palazzo.

Non un palazzo ma due nel lascito di Nerina De Toffol, vedova di Pietro Barozzi discendente di quel Sebastiano poeta e patriota. Oltre alla villa di Orzes lasciata al Comune di Belluno spunta anche il palazzo di Via San Pietro al civico 3, lasciato all’ultima discendente dei Barozzi, sorella di Pietro.

I mancati eredi, figli della sorella della defunta vedova Barozzi, hanno impugnato il testamento ritenendolo illegittimo. Ad attestarlo ci sarebbe una perizia calligrafica secondo la quale la scrittura presenterebbe troppe diversità per essere ricondotta ad una sola persona.

Ma l’ultima discendente della storica famiglia, Clelia Barozzi, non ci sta e, con l’Avv. Stefano Bettiol, si costituisce in giudizio davanti al Tribunale di Belluno al quale spetterà decidere sull’autenticità del documento.

Secondo la perizia di Bettiol, la firma “è autentica. Lunedì – conclude il legale – ci costituiremo in giudizio rivendicando la legittimità del testamento”.

L’impugnazione, da parte dei nipoti, è avvenuta a cinque anni di distanza dalla morte della vedova Barozzi, quando ormai si era data attuazione al testamento, passaggio sul quale insiste anche l’Avvocato Bettiol.

La guerra si trasferisce così davanti al Tribunale dove si cercherà di far luce su quel testamento olografo con il quale Nerina De Toffol in Barozzi diede disposizione dei suoi beni prima di morire.

A cinque anni dalla scomparsa della donna, i nipoti, residenti a Pavia, città che ospita anche Clelia Barozzi, fanno eseguire una perizia grafologica sul testamento dopo aver notato delle grafie diverse.

Gli eredi mancati si sono così rivolti all’Avvocato Mario Spinazzè impugnando l’atto ritenuto illegittimo in quanto viziato da troppe diversità grafiche. “ I miei assistiti – ha spiegato Spinazzè – non volevano portare in causa la questione. All’inizio si è cercato un accordo tra le parti, ma non c’è stata la possibilità”.

A far precipitare l’idea di una possibile impugnazione la scelta del Comune di mettere all’asta la villa di Orzes, immobile del settecento il cui valore si aggira sul milione di euro.

Mobbing, dipendente fa causa all’Enel

Mobbing, dipendente fa causa all’Enel

Tribuna di Treviso del 07.07.2013

Per sedici anni ha lavorato come guardia-diga in diverse centrali dell’Enel senza mai ricevere contestazioni disciplinari. Dall’agosto del 2005, dopo aver chiesto all’azienda dell’energia il pagamento di molte ore arretrate, sono iniziati i suoi guai. Da quel momento – sostiene – la sua attività lavorativa è stata costellata da una serie di solleciti , contestazioni, sanzioni e demansionamenti che, secondo i suoi legali, si sono dimostrati infondati e ne hanno minato la salute.

Ora un operaio trevigiano di 55 anni, affetto da depressione, ha intentato una causa di lavoro per mobbing nei confronti di Enel. E chiede che sia un medico legale nominato dal giudice, con una perizia, a stabilire l’entità del risarcimento. I suoi legali, gli avvocati Stefano Bettiol e Valentina Gatti, hanno depositato la causa negli uffici della cancelleria del Tribunale del Lavoro di Treviso.
Il lavoratore era stato assunto nel 1979 dalla divisione dell’Enel di Vittorio Veneto come guardia-diga. Aveva cominciato come responsabile del controllo delle perdite e del flusso d’acqua per poi ampliare le sue mansioni anche come addetto alla manutenzione edile.

Fino al 2005 il rapporto di lavoro fila via liscio, senza particolari intoppi. Dopo l’agosto del 2005, quando l’operaio intima con una diffida all’Enel il pagamento di molte ora arretrate, iniziano i guai.

All’operaio vengono notificate una serie di sanzioni e contestazioni disciplinari. Nel maggio 2008, ad esempio, gli arriva una contestazione disciplinare per essersi recato presso una diga nonostante fosse stato provvisoriamente sospeso, in attesa di effettuare la visita medica di idoneità alla mansione.

L’Enel gli sospende lo stipendio per tre giorni. Un provvedimento che poi la direzione provinciale del Lavoro gli ridimensiona ad una multa di quattro ore. Nell’ottobre 2009, il lavoratore subisce un demansionamento: dopo aver fatto per una vita il guardia diga, passa all’archivio della sede Enel con relativa diminuzione dello stipendio. Tutte azioni che, secondo i suoi legali, ne minano la salute. L’uomo cade in una profonda depressione, si assenta dal lavoro per un lungo periodo e sette mesi fa viene licenziato.

In un’accurata relazione del febbraio 2012, un medico legale ravvisa espressamente il nesso di causa tra le presunte vessazioni subite e la depressione. Il medico non condivide la decisione della direzione dell’azienda dell’energia di Vittorio Veneto di esiliare il lavoratore, confinandolo all’interno dell’archivio di una sua sede “senza incarico alcuno – attesta il medico – per tutto il turno lavorativo e provocando così la distruzione della personalità dell’individuo, la sua profonda frustrazione da cui lo stato di grave depressione”.

Nella causa presentata nei giorni scorsi in Tribunale a Treviso i legali dell’operaio chiedono la condanna di Enel a risarcire l’operaio. Un risarcimento che dovrà essere eventualmente quantificato da una perizia di un consulente tecnico nominato dal Giudice del Lavoro.

Belluno vince la battaglia della carta

Belluno vince la battaglia della carta

Gazzettino – Edizione di Belluno del 10.09.13

Stangata da 85 mila euro per la ditta che aveva vinto l’appalto per la raccolta carta e cartone. La penale è stata inflitta dalla Bellunum, società del Comune di Belluno, in quanto l’appaltatore non avrebbe effettuato una corretta differenziazione del rifiuto. La controversia, partita ancora nel 2007, si è chiusa solo in questi giorni davanti al Tribunale di Belluno che ha dato ragione alla Bellunum, abbassando però di 30 mila euro la penale. La ditta, la Sap, è però pronta a fare ricorso non appena saranno depositate le motivazioni del giudice.